Io Sono, narrazione gastronomica, pensioni complete, Taylor Swift e turisti in Italia
Un articolo sul cambiamento climatico da leggere, attivismo narrativo, prezzi dinamici, pensione completa e cosa hanno mangiato i turisti stranieri in vacanza in Italia: meraviglia
Abbiamo bisogno di una nuova narrazione sul cambiamento climatico. La faccio breve: non siamo spacciati ma il modo in cui parliamo di clima ci sta distruggendo. Questo articolo di Rebecca Solnit su Internazionale parla di questo, ma nella mia testa parla di TUTTO quello che faccio, che vorrei fare e che dovremmo fare ogni giorno. Narrazione è una parola che non usava nessuno e che a breve diventerà dibattito. Spero, cominciamolo.
“Ogni crisi è anche una crisi di narrazione. Questo vale per il caos climatico come per qualsiasi altra cosa. Siamo circondati da storie che c’impediscono di vedere le possibilità di cambiamento, di crederci e di fare qualcosa perché si realizzi. Alcune di queste storie sono abitudini mentali, altre sono propaganda industriale. A volte la situazione cambia, ma le storie no, e le persone le seguono ancora, come vecchie mappe che le conducono in vicoli ciechi […].Per fare ciò che c’impone la crisi climatica dobbiamo trovare storie di un futuro vivibile, storie di forza popolare, storie che motivino le persone a fare quel che serve per creare il mondo di cui abbiamo bisogno. Forse dobbiamo anche diventare critici e ascoltatori migliori, più attenti a quel che crediamo e a chi lo racconta, perché le storie possono dare potere. Ma anche toglierlo”.
Il clima è la storia da scrivere più importante di questo millennio, ma sereni, non mi metterò a parlare a vanvera di sostenibilità e di lische essiccate. Però se leggere altri due link a Wired e al sito di Unico si capisce il dibattito in corso fra giornalisti e divulgatori di settore. Il dibattito è alto, e oltre alle accuse si cercano strumenti per essere utili ed efficaci in una sfida globale che è tecnologica, politica ma anche culturale. Scrivendo di cucina capisco di avere davanti una sfida meno nobile e meno urgente, ma in un Paese che si indigna per un toast (a metà) o per della pasta in bianco forse dovremmo aver capito che si sta parlando di cibo, ma attraverso il cibo si parla sempre d’altro: crisi economica, disillusione, scontento, sovranismo, diffidenza.
Qui, 10 criteri per la creazione di efficaci narrative alternative sulla diversità.
Auto-affermazione: Io Sono, come se fosse Antani
Ho cambiato la mio bio su Instagram, che per me è come dire ho cambiato il mio posizionamento nel mondo. Fra le cose che ci sono scritte ho tolto l’auto-ironico “autoproclamata filologa di foodtrend” e ho scritto “attivista di una nuova narrazione gastronomica”. In entrambi i casi spero si capisca che cerco di prendermi sul serio ma non troppo, anche se so che è rischioso.
Per fare il medico di serve una laurea altrimenti è abuso della professione, va nel penale, ma puoi essere un “content creator presso me stesso” con 500 follower, un editor anche se editano te e non viceversa, scrittore se ti sei pubblicato un libro in self-publishing. Fake it until you make it: una miriade di mindfullness life coach ti dicono* che se ripeti 100 volte qualcosa a voce alta, allo specchio e agli altri, alla fine diventa vera. Quasi vera e quasi per tutti, almeno finché non ci si fanno troppe domande. La narrazione funziona, qualcuno ha pensato davvero che “filologa di foodtrend” fosse una qualifica, magari lo è davvero? Magari si può essere attivisti della narrazione? Se si può fare la rivoluzione mangiando, allora forse sì. Lo dice anche la lezione sui 10 criteri per la creazione di efficaci narrative alternative sulla diversità: devi ripetere e ripetere.
*Se vi state chiedendo che cavolo siano le affermazioni positive, ecco qui un bel video di Io Sono. Ovviamente di un autoproclamato qualificatissimo professionista in sussurri e pause drammatiche.
La crisi della favola della ristorazione
I ristoranti sono pieni (cit.) ma stiamo vivendo una crisi della ristorazione. O meglio una crisi di narrazione della ristorazione (ne avevo in parte scritto su Vanityfair.it, un mattone). Il grande saggio Antonio Santini in quella occasione mi aveva detto che in Italia di ristorazione si parla solo quando c’è un problema, e ovviamente aveva ragione. E se non c’è meglio crearlo così si può parlare di qualcosa, ci si può indignare, e poi si può passare ad un altro titolo. Molto di quello che leggiamo sembra governato da La Bestia (l’algoritmo della Lega) piuttosto che dalla volontà di spiegare davvero qualcosa, di fatti senza contesti, di titoli senza articoli, di accuse senza repliche. Da lettrice, pezzetti di un puzzle più o meno belli ma che non riesci mani a unire.
I VIP fanno i camerieri
Il 15 settembre a Milano modero in Food Genius Academy un talk dal titolo Ma davvero nessuno vuole più lavorare nel mondo della ristorazione? Proviamo a darci delle risposte. Ad esempio qui si racconta come questa estate Lana Del Rey, Prince William, e David Letterman invece ci sono andati a girare burger su una piastra. Ci sarebbe da scriverne un pezzo.
Turismo sostenibile in pensione completa
Questa estate in vacanza ho fatto un viaggio indietro nel tempo negli hotel a 2 stelle, le pensioni a gestione familiare delle spiagge dell’Adriatico. I posti dove gli italiani medi andavano in vacanza fino agli anni Ottanta, Rimini, Riccione, Cattolica e scendendo lungo la costa un po’ ovunque, quando già stare al mare era una conquista sociale. Sono migliaia, in cittadine nate dal nulla per ospitare i vacanzieri e che oramai hanno urbanizzato la costa senza soluzione di continuità tramutando campagne e paesini di pescatori in luoghi per turisti. Oramai è troppo tardi per tornare indietro ma forse si può evitare di brutalizzare altri luoghi innescando lo stesso meccanismo che li porterà, e sempre più velocemente ormai, a diventare turistici pure loro, e quindi presto a non essere più attrattivi. Forse per fare delle vacanze sostenibili insomma dobbiamo semplicemente tornare lì, a Cesenatico, a Igea Marina, a i vasi “Marina” d’Italia. Sono vacanze che non ho mai fatto in vita mia, ho iniziato di recente e quindi forse sono vittima del fascino della novità ma potrei lanciare un account Instagram Alberghisinceri e diventare attivista turistica. Esiste? Magari se lo ripeto 100 volte è come un incantesimo e si avvera.
Prezzi dinamici e basta stagione al ristorante
I prezzi dinamici di voli, prodotti Amazon, lavatrici etc che compriamo online non sono una novità. Per gli hotel la bassa e l’alta stagione esistono da sempre, nella mia memoria, come le promozioni se ti fermi più notti o se sei un ospite fedele: le camere non costano sempre uguali per tutti. Se il prezzo che paghiamo fosse direttamente proporzionale ai costi di produzione, per economia di scala, ad agosto quando l’attività funziona a pieno regime, diciamo al massimo della sua capacità produttiva, tutto dovrebbe costare persino meno. E invece no, per il principio di scarsità si alzano i prezzi. Poi arriva settembre e voli e hotel scendono di nuovo, al ristorante o in panetteria invece non succede nulla, e quindi se oramai hanno messo la focaccia a 18€ e un piatto di pasta a 26€, te li tieni così per tutto dell’anno, per colpa “dell’inflazione e dei rincari”, anche se non c’è più nessuno in giro. Se sei un’attività stagionale ok, ma forse il dynamic pricing, qui spiegato bene da Wired, ti permetterebbe di modulare non solo i prezzi, ma la tua offerta nel corso dell’anno e chiederti che cosa offri, che valore ha e perché la gente dovrebbe volerla. “Ogni cosa vale il prezzo che il cliente è disposto a pagare per averla” aveva detto Publilio Siro, antica Roma. Se ad agosto i ristoranti al mare costassero di più, ma poi costassero di meno a settembre? Se sabato avessero dei menu diversi dal martedì? Se si usasse qualche strategia di marketing in più dell’alzare lo scontrino?
Ma ne vale la pena? Dipende.
Per la serie, le domande che ti fanno più spesso dopo che sono andata a provare un ristorante. La risposta è più o meno sempre la stessa: dipende. Dipende prima di tutto se te lo puoi permettere, ma se sei un appassionato di alta cucina, ami girare per un certo tipo di ristoranti e non ti devi vendere la catenina della comunione o affamare per i restanti 29 giorni del mese, allora un menù a 300€ potrebbe valere la pena. C’è chi li spende per andare alla Scala o a vedere Taylor Swift, chi per un profumo, una borsetta, è solo una questione di gusti e di come vuoi/puoi investire il tuo denaro. Ma soprattutto perchè il valore è dato dal contesto e non solo dal prodotto.
Se ti piace Taylor Swift ti puoi ascoltare le canzoni gratis, ma se vuoi vivere l’esperienza, vederla dal vivo, sudare, saltare in mezzo ad altre persone, fare le foto e i video ricordo, poter dire “io c’ero”, comprarti la t-shirt, allora prepara i 300€. La canzone probabilmente la sai già a memoria e la senti meglio a casa, gli amici non ti chiederanno: come si sentiva? ma se è stato figo esserci. Perché esserci ha un valore, e può essere 30 o 300€, sta a te valutare se per te il prezzo è giusto o no. Ecco quando si commenta che la pasta in bianco me la potevo fare a casa è come paragonare il guardare la partita alla tv o andare allo stadio di San Siro al derby. In curva mi darebbero ragione, io non pagherei 1€ per andare allo stadio, avrebbero dovuto pagarmi loro per andare al Jova Beach party ma magari un ristorante a tre stelle ne vale la pena, e pure il viaggio.
Come ci vedono gli altri
Ho iniziato a scrollare Tik Tok e ora conduco sessioni tematiche per argomenti, così mi illudo di stare lavorando. Gli stranieri in vacanza in Italia sono stati uno dei miei feticci. Al mercato azzannano pomodori interi sbrodolandosi, impazziscono per l’ “al fresco dining”, mangiano street food ed é tutto amazing anche se evidentemente li stanno fregando alla grande. La roba più triste è proprio vederli mangiare robaccia su tovaglie a quadretti, altro che meraviglie.
Ecco che cosa non capiscono
La pizza la servono in tavola intera e la mangiamo con le posate.
Vanno a caccia di tagliatelle Alfredo ovunque (e le trovano)
Si chiedono dove sia il garlic bread. Io mi chiedo che cosa sia ma ok
A Roma vanno tutti Osteria da Fortunata
Postano video di quanto spendono al giorno, perchè è pochissimo
A Positivano vanno a bere L’Albertissimo
E poi c’è lei, che ti spiega un toast e la cucina italiana. Fa volare
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Oltre il cestino del pane
È autenticamente italiano, e se c’è scritto nel menù allora è vero. Nei (decine) di Pacini restaurant del Canada oltre a servire Mozarella e pizza Alle Carni, hanno inventato the ultimate cestino del pane. E io sul cestino del pane ho le mie idee. Loro hanno inventato il Bread Bar ®, un angolo tipo self service con fette di pane di diverso tipo e focaccia da grigliare e una distesa di burro aromatizzato, modello buffet. Bottomless a 4$. Io sono una fan del cestino del pane, e ne avevo scritto sia qui che qui per spiegare che la pagnotta romitiana - che poi romitiana è solo in Italia - ci sta privando della gioia delle biove, dei panini al latte, delle bananine e delle michette e della farina bianca che non fra un po’ per rivedere dobbiamo andare in Quebec. E comunque l’idea del bread bar mi sembra ottima e mi piacerebbe vederla in qualche forno contemporaneo con il pane buono, secondo me a Milano 25€ te li danno.
Ciao Monica, perdonami ma non intendevo questo, anzi credo che la rivoluzione digitale abbia dato a tutti gli strumenti per diventare media. La frase si riferiva - ma si capisce male, hai ragione - a chi dopo un libro uno (più che atro) già di definisce scrittore, cosa che perdonami, mi fa un po' "Io sono" auto affermazione positiva.
Grazie a te e nessuna scusa, effettivamente suonava male. A volte scrivo come parlo, e nella lettura suona ad ognuno nella sua testa diversamente. E non so suonare manco io, nulla.