Episodio 15 | Di formaggio americano, ananas marci, haters e trend a tavolino
Trend e ancora trend, di ieri e di oggi, con autocitazioni di articoli vecchissimi e spoiler di nuovi, ed esempi di cose fatte bene. L’Episodio 14 di Materia Prima è meno apocalittico.
Trend lattiero caseari
Sono una grande mangiatrice di yogurt greco, 0% bianco. Lo mangiavo sin da bambina ma ad un certo punto si è moltiplicato sugli scaffali in mille marche diverse e le ricette a base di yogurt greco erano ovunque sul web. Merito di Fage che (lo dice il loro stesso sito) esposta negli anni Novanta in America e diventa un trend, e di altre big company che lo hanno reso un prodotto allora aspirazionale, da “etnico” a cool, sano e relativamente economico. Oggi vanno di moda le butter board, tavolozze di burro spalmato e condito, trend virale che qui si dice essere stato inventato a tavolino dalla associazione di categoria Dairy Management Incorporated che promuove i prodotti lattiero caseari americani. L’idea è venuta ad un “Dairy Dream Team” fra cui compare anche Mr. Beast. Ecco, recentemente a lezione (di comunicazione, in Food Genius Academy) ho letto dei comunicati di associazioni nostrane fra cui quello che collegava la fame nel mondo dei bambini in Africa allo spreco alimentare domestico per planare sui pisellini surgelati. Spero francamente che non lo abbia ripreso nessuno e comunque sono disponibile per consulenze.
“Sottilette” e American cheese gourmet
Sempre a proposito di formaggi, recentemente sono andata a pranzo da Mocho al suo fast-food Meatcrew, che mi è piaciuto ma l’articolo uscirà a breve su Vanityfair.it quindi non faccio spoiler. Abbiamo parlato di che cosa gli italiani non hanno capito della cucina americana e uno dei grandi temi è il formaggio (lo infervora). Riepilogo con un virgolettato liberamente ispirato “Gli hamburger non si fanno con il cheddar, è American Cheese ed è un’altra cosa. Non tutto quello che è formaggio ed è giallo è cheddar”. Ed ecco una bella storia sul formaggio americano artigianale e sulla new wave di produttori di qualità che vogliono riscattare la nomea negativa dei cibi processati. Insomma, anche l’America ha una tradizione di formaggio e le sottilette si possono fare anche meglio e oggi c’è un mercato interessante, uno spiraglio di premiumizzazione anche di questo settore. Su cosa siano le sottilette me ne ero interessata nell’articolo sul toast di Niko Romito in cui di usava il formaggio svizzero con i buchi. Qui lo spiegano ancora meglio ed è un processo affascinante che oggi ci fa inorridire ma che quando di cibo ce n’era poco ha avuto il suo senso.
E poi la scena mitica del formaggio spray dei The Blues Brothers: ok, lì ho un limite (ma ho mangiato lo Spontì)
All’opposizione di nulla
Recentemente una collega stimata mi ha detto che dopo il toast e la pasta in bianco, sembravo un po’ troppo voler fare la bastian contrario del giornalismo. Ca**o, ho pensato sul momento, e poi ci ho ripensato. Una serie di fortunati e sfortunati eventi hanno sparato virali due pezzi, per diversi motivi, ma lungi da me voler fare quella che negli anni della militanza avrei definito “all’opposizione dell’opposizione”. Ossia chi non dovendo governare e sporcarsi le mani, spara a zero facendo in realtà solo fuoco amico. Di lavoro mi destreggio fra contenuti che vorrei seri, giornalismo, investitori, progetti branded e agenzie, non sto proprio all’opposizione di niente, sono integrata nel sistema. Apocalittica solo quando leggo dieci volte rivoluzione in un giorno e mi dà più fastidio di quando leggo appetitoso e sfizioso, e sbotto.
Cercare un titolo catchy per una storia che credo valga la pena di essere letta, per me è lavorare bene, è funzionale, è triggerarti per farti leggere e pensare. Inventare un titolo click bait senza contenuto annesso, o peggio montare una polemica inesistente o periferica e pretestuosa, è un’altra storia. Cito un post di un’altra stimata collega, Giuliana Matarrese, che parlando delle “attiviste” in visita a Shein ricorda il perimetro della professione giornalistica: fornire un contesto al lettore e gli strumenti per capire e per farsi un’opinione indipendente. Lei scrive di moda e lo fa così bene che mi ci fa appassionare.
Haters e purché se ne parli
Qui un bell’articolo sugli haters dei content creator culinari e di come la polemica funziona comunque come boost. Perché è l’engagement bellezza e uno vale uno, tutto fa brodo e titilla l’algoritmo. Ma come le bugie questa strategia ha le gambe corte - come lo scrivere articoli click bait. «C’è una sola cosa al mondo peggiore del far parlare di sé, ed è il non far parlare di sé. Parlarne bene o parlarne male non importa, purché se ne parli.» Oscar Wilde lo fece dire a Dorian Gray ma era il 1890, e il protagonista non ha fatto una bella fine infatti. Purché leggano però per me vale ancora.
Trending, trend, moda e un articolo di 10 anni fa
Click this week consigliava un articolo sui trend che vi consiglio pure io: non servono più a nulla. Ma a parte questo, stiamo confondendo cosa è trending e cosa è trend. Qui avevo scritto il mio primo pezzo sui foodtrend, più di 10 anni fa, spiegando che quando qualcosa arriva all’Autogrill non lo si può più chiamare trend. Non avevo previsto il ritorno delle spalline ma di molte cose sì. E rileggendolo fa molto ridere.
Pastry trend: quadrato verso upside down
Praticamente il nuovo trend è fare delle mini Tarte Tatin, e qui si fa una bella filologia del food trend “croissant qudrato” - su CiboToday perchè in Italia è arrivato a Torino, ma anche a Milano da Bentoteca hanno sfornato la versione salata ripiena di midollo. Non importa cosa, ma oramai si fa la coda per le pasticcerie e i dolci sono nuovi oggetti di culto. Dire che lo fanno i Millennials dopo che lo abbiamo fatto per i Cronut ha poco senso, ma comunque c’è hype. E in Inghilterra c’è per i maritozzi e per la pasticceria salata, e per business meno impegnativi di un ristorante.
A parte gli scherzi, cose che leggo serie: Food Hub un magazine
Trend del passato: ananassi 🍍 marci
Qui si racconta di come gli ananas erano diventati cibo prelibato e di culto nell’alta società già prima del Diciassettesimo secolo. Praticamente scoperta l’America, l’Europa si è innamorata di questo frutto esotico tanto da riuscire a coltivarlo. Prima ricetta è datata 1732, peccato che dopo aver esposto l’oggetto del desiderio per settimane, lo si cucinasse oramai marcio. Ci hanno fatto anche un podcast, nel caso. E visto che si parla di rotten ananas, a me viene in mente Rotten Tomatoes, e Il Post ne ha scritto qui: è influente, pure troppo, e Hollywood non ama chi sta all’opposizione.
Quale sarebbe la capitale gastronomica globale italiana?
Qui sul Gambero Rosso si parla di una mostra a Parigi che non cita nessuna città italiana come meta gastronomica al pari di Londra, New York o Tokyo. Avrei aggiunto Bangkok, forse qualche anno fa Hong Kong, Singapore. Il fatto che l’Italia non sia citata francamente non mi stupisce, e anzi i francesi nel nominare altre metropoli si interrogano su quanto Parigi sia ancora rilevante nella scena globale. Noi chi ci avremmo voluto mettere, Milano? Roma? Abbiamo la stessa varietà? Anche solo per dimensioni siamo su un’altra scala, oggettivamente. La cucina italiana è una delle più amate del mondo ma solo recentemente siamo usciti dallo stereotipo della trattoria con tovaglia a quadretti mentre i ristoranti francesi hanno tenuto banco come il posto più chic dove andare per più di un secolo - ovunque tranne che in Italia. La cucina francese però ci ha influenzato assai, ne avevo scritto per Alma un sacco di anni fa. Qui però ecco un pezzo interessante del 1994 del New York Times fotografo il momento in cui abbiamo influenzato la cucina globale non nelle ricette o nei piatti, ma negli ingredienti come l’olio per dire, tanto che Ducasse parlava di “italianizzazione della cucina francese” e titolavano Italian French Cuisine. Che è lo stesso titolo che avremmo fatto noi guardando alle tecniche e al burro mutuato oltralpe, oltre che alla sempre citata nouvelle cuisine.
Comunque per tornare alla mostra, i ristoranti francesi hanno lasciato il posto ad altro, cucine asiatiche. E i ristoranti italiani che prima facevano da bistrot? Si parla sempre di più di cucina mediterranea, in modo più generico. Forse il Novecento è finito e il 21° secolo guarda altrove.
Padroni di casa vegani duri
Su Bon Appetit hanno cominciato questa serie che si chiama Axious Carnivores che indaga il mutevole rapporto con la carne degli americani. In questo articolo parlano di “vegetariani di ritorno” e dei motivi per cui dopo anni (neanche troppi) in molti tornano indietro. Qualcuno racconta il piacere istintivo della trovata bistecca, i sensi di colpa nei confronti di sé e degli altri, il senso ritrovato della propria cultura e di comunità nel poter partecipare pienamente a pranzi e cene. Long form molto interessante con molteplici punti di vista che ci portano ad una sola conclusione: l’obiettivo è trovare una relazione sana con il cibo. Che evidentemente questo landlord vegano non ha visto che vuole vietare di cucinare carne nei suoi appartamenti.
#Fuoriluogo*: le televendite
Inauguro la rubrica “‘ndo cojo, cojo”.
Su qualche canale c’è ancora chi vende opere d’arte. C’è ancora anche Il Baffo Roberto e ci sono pure andata (in realtà Luca ci va spesso, ha uno dei suoi store vicino a casa sua a Lodi). Esiste ancora anche Andrea Diprè, non sta benissimo a causa di un po’ troppe botte di coca ma è ancora fra noi e regala. Qui un recap della sua lunga e travagliata esistenza, inclusa il culto da lui fondato e nominato Dipreismo (la cocaina fa male). Ma non per questo tutte le dddroghe sono uguali, bene inteso.
Qui un “com eravamo “ e qui quello che ogni tanto finisco a guardare alla TV. Quando finisce QSVS.
Click
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