Episodio 10 | Il potere virale della pasta in bianco. Della cacca e dell’apericena
Riflessioni su un articolo sulla pasta in bianco a Milano diventato virale.
La pasta in bianco del portrait di Milano è diventata virale, quasi una nuova “pizza di Cracco”. O meglio, è diventato virale il mio articolo sulla “Pasta in bianco che fa impazzire Milano” su La Cucina Italiana. Dopo mesi dalla sua pubblicazione, la cosa è detonata su Twitter negli scorsi giorni e lo hanno poi ripreso copy&paste altre testate, Sky Tg24, il Giornale, tutti praticamente, pure i giornali di provincia, pure Fanpage (passando per il mio momento di gloria su IlDeboscio). Pure il moralizzatore delle marchette, si è accodato con un post per sfruttare la scia altrui (ma il link non lo metto). Cosa è successo? Ci ho preso. E per fortuna visto che di lavoro faccio proprio questo, la content strategist. Ho sempre paragonato il mondo dei contenuti online ad un investimento finanziario: c’è il SEO che ti dice che cosa cerca oggi la gente, e assecondarlo è come fare un investimento obbligazionario, sicuro, costante ma moderato. E poi ci sono gli investimenti azionari, rischiosi ma dai grandi guadagni. Annusare le tendenze, capire che cosa potrebbe stuzzicare la gente e farne un contenuto è un investimento azionario: capti segnali deboli nell’aria, unisci i puntini, scommetti sul tuo istinto e lo rendi contenuto. La pasta in bianco era la tempesta perfetta per parlare di cosa sta succedendo a Milano e nella cucina oggi.
Spostare il pensiero con i fusilli
Amo triggerare, stuzzicarla la gente nelle proprie convinzioni, dargli nuovi punti di vista, stimolarli a pensare, spostarli dalla comfort zone, interrogarmi sui miei bis culturali, esercitare il pensiero critico. La cucina è un mezzo, ma cito il designer Odo Fioravanti che “sposta il pensiero con gli oggetti”. Io voglio farlo scrivendo di fusilli. Voglio stimolare il maggior numero di persone possibile, e visto che l’editoria è un industria, culturale ma un’industria, questo significa generare valore, quindi click o copie edicola. Non è un “purché se ne parli” con l’escamotage del clickbait, ma la ricerca di un amo a cui farti abboccare per raccontarti altro che vorrei dirti. Tutt’altro che marchette, please.
Riassunto delle puntate precedenti: esiste il lusso anche se non ce lo possiamo permettere
A Milano ha inaugurato un nuovo mega hotel a cinque stelle, il Portrait, e dentro c’è un ristorante che serve vitello tonnato, mondeghili e cose normali fatte bene. Apertura attesa da anni e anni, nuova piazza milanese e taglio del nastro del Sindaco incluso. Lo chef Alberto Quadrio e il consulente “ombra” Andrea Ribaldone seguono la tendenza della ristorazione di oggi: piatti immediati, comprensibili, buoni, magari da condividere, confortanti, rassicuranti, quotidiani: come la pasta in bianco, dichiarazione di intenti di un concetto. Si fa dietrofront rispetto agli anni in cui si voleva stupire con effetti speciali, e si riportano i piedi per terra. Siamo in un ambiente elegante, pieno centro, fatto per uomini d’affari e signore della Milano-Bene che vogliono mangiare-bene, stare-bene, possono spendere benissimo e lo fanno. Dove vanno? In una fetta (ampia) di locali che non fanno alta cucina o fine dining, ma offrono ottimi piatti in ambienti “cool”. Dove gli scontrini superano quelli di molti ristoranti a tre stelle Michelin, in un normale mercoledì, e dove si mangiano cose “normali”. Esistono, facciamocene una ragione.
Ghigliottine, brioche e conclusioni troppo semplici
A Milano basta andare Da Giacomo e ordinare gli Spaghetti al pomodoro e sono più di 20€, dal DaV dei Cerea i paccheri stanno a 30€, ma non ha senso questionare sui prezzi. Non si esce a mangiare perché si ha fame, ma per essere lì. A casa la pasta (anche se sfido a farla così buona) costa 2€, certo, ma te la cucini tu e non te la serve al tavolo lo chef in persona, mentre mangi a fianco al calciatore con vista panoramica e ti fai pure il selfie di rito. Doverlo spiegare è come spiegare una battuta, se non la capisci è un problema. Al Portrait la pasta in bianco, la cui lavorazione non è per nulla semplice, esce a 26€, e qui si è scatenato l’inferno: Uno schiaffo alla miseria! Che almeno mangino brioche, gamberi rossi e tartufo, ca**o! E via con la ghigliottina mediatica. Ma le soluzioni semplici a problemi complessi, non esistono.
Vademecum sul pricing di prodotto
“Il prezzo è la somma di tutti i valori, soldi inclusi, a cui un cliente rinuncia per ottenere i benefici di avere o usare un prodotto o un servizio”. Il prezzo non è una formula, è una strategia, riflette il posizionamento dell’azienda o del prodotto sul mercato. Il prezzo che siamo disposti a pagare dipende quindi dalla qualità (percepita) del prodotto, dalla reputazione dell’azienda e dalla sua comunicazione. Copre i costi di produzione ma prescinde da essi. Mi spiace, il foodcost non c’entra, in un piatto pesa comunque poco rispetto ad altri costi, come lavoro e location. E i prezzi si fissano comunque in base a quello che siamo/sono disposti a pagare, in ogni cosa, dalle auto alle creme rughe. La cosa che mi stupisce non è quello che si spende quindi al Portrait, pure “poco” considerando Milano, ma è pagare un’insalata così a 17.50€, della busta, senza pane, condimenti e manco un tovagliolo in un posto a caso. E ho mangiato di peggio.
A Milano i prezzi sono impazziti?
Ovunque, e non certo a causa del Portrait, come ha scritto qualcuno, o dei bei locali fatti per chi se li può permettere, fortuna loro. Più che incazzarci con la pasta in bianco, l’alta cucina, il lusso perché non possiamo permetterci, dovremmo farlo perché gli stipendi non aumentano da un decennio e il costo della vita sì, tanto che non ti puoi manco più mangiare un panino al bar e rifioriscono le schiscette. Amo le battaglie, ma se i saggi indicano la luna, sui social guardano il dito.
Sul tema dell’alta cucina ne avevo scritto su Vanityfair.it, in fondo al pezzo una riflessione del Censis sullo stato di salute degli italiani: incazzati, nichilisti e arresi. Con la pasta in bianco ma con tutto.
C’è di peggio, consolati, l’acqua a 26€
Comunque, almeno la pasta la mangi. Le acque di lusso le bevi, e sono acqua. Ma esiste un mercato senza senso, o almeno con un senso a noi imperscrutabile come la fede che però prova a spiegare questo articolo. Acqua, senza pasta e senza Parmigiano, per decine di euro. Che si fa, li mandiamo al rogo o ci preoccupiamo del diritto all’accesso all’acqua di chi non ha un rubinetto?
Il potere della cacca 💩
Durante la Milano Design Week sono riuscita a partecipare ad uno degli incontri Prada Frames curati dal duo di designer Formafantasma. Per chi non lo sapesse, sono Head of Contents di Marie Claire Maison e quindi bazzico da un annetto due monti, e mi piace. La sessione si intitolava The power of shit, il potere della cacca. Qualunque materia per come la conosciamo é uno stadio, una fase. Parlare di rifiuti é negare il processo, soffermarsi su un pezzettino di un lunghissimo ciclo di vita delle cose. I diamanti sono stati sassi, il petrolio organismi marini, la cacca é stata pasta casalinga o costosissima, e lo deve diventare nuovamente. Così é la vita, anche se noi vorremmo farla scomparire tirando lo sciacquone e non pensarci più. Ma il design, l’architettura, chiunque progetti cose, edifici, città, faccia politica o banalmente viva non può scegliere il presente, ignorando il prima e il dopo. Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma ed ecco perché dovremmo consumare e comprare cose pensando a quello che sono state prima e quello che saranno dopo. Funziona. Spendi meno in cose senza valore ma di più in esperienze arricchenti, ordini una pasta in bianco che ti fa sentire fico e rinunci a due apericene pacco.
Qui un articolo su Inernazionale che avevo letto tempo fa proprio con questo titolone. Qui il video dell’incontro sulla cacca da Prada Frames.
Apericena da anziani
L’erba cattiva non muore mai e tornano infatti le apericene: roba da mangiare scadente a 10€ con drink assassino incluso. Cibo da universitari? Cibo da anziani perché il target delle apericene è cresciuto in termini di età, o meglio, si è allargato e in una ventina d’anni ha conquistato chi prima guardava le abitudini dei ggiovani d’oggi con diffidenza. È la parabola dei food trend, da avanguardia diventano istituzione. Ne avevo scritto qui, di food trend, anni anni e anni fa e da allora mi autoproclamo “filologa di foodtrend”. Scherzo, ho due lauree ma non questa.
Boomer VS il mondo oggi
Leggo su questo articolo che una influencer ha avuto un diverbio a New York con un cliente di un ristorante perché stava scattando delle foto ai piatti e questo ha dato di matto. Non è una reazione individuale, uno sbotto scomposto, è un gap generazionale di chi non capisce cosa sta succedendo nel mondo e si turba - ma è seduto in un locale in cui i piatti sono per stessa ammissione dei proprietari, fatti per essere instagrammati. Il signore non lo saprà mica, ma li pagherà comunque almeno 26€ l’uno per quello.
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tante ispirazioni, conferme e novità, grazie!