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Episodio 14 | Di rivoluzioni senza vittime, grani antichi e Cultura con la C maiuscola
Il tutto illustrato dall'intelligenza artificiale e dalla mia immagine di Giorgia Soleri che fa il pane in tuta bianca ad Ibiza come atto politico.
Ho iniziato a fare politica a 16 anni, movimenti studenteschi prima, centri sociali poi, e per anni è stata la mia vita, il mio lavoro, le mie amicizie, la mia famiglia. “Non facciamo politica, facciamo società”, dicevamo, facendo quello che mancava, organizzando eventi, concerti, incontri, creando spazi di espressione, montando carri per le prime parade o gli stand per Critical Wine. Quando è servito, abbiamo praticato la disobbedienza civile, indossato in piazza le tute bianche, fino a Genova. Sono stata una militante a tempo pieno, poi mi sono cercata un modo per “fare della mia passione un lavoro” nell’editoria, per caso sono finita in quella di cucina e ci sono rimasta, perché il cibo è un ottimo modo per parlare anche d’altro.
Il mio amico Maurizio Bertera mi dice che volevo fare la rivoluzione e ora bevo drink al Mandarin, vero, ma cerco di farlo con consapevolezza e, visto che un po’ di rivoluzione ho cercato di farla, diffido di chi usa a sproposito parole potenti con significati ben precisi. La rivoluzione non è un pranzo di gala, diceva Mao, è un atto di violenza. Si vince o si muore, diceva Che Guevara. Questo nelle rivoluzioni politiche, poi ci sono pure quelle culturali, scientifiche e tecnologiche, senza vittime, ma io mi trovo comunque poco a mio agio quando le si scomoda in nome dell’hype. Nel 2023 il tema di Identità Golose era stata la rivoluzione, nel 2024 sarà la disobbedienza, e già temo i proclami di partecipanti e cronisti. Capisco che oggi basta aprire una pasticceria per essere già definita una pasionaria (pardon, meglio dire attivista) e che se elimini gli amuse bouche dal menù ti eleggono comandante in capo di una rivolta proletaria, ma tutto questo mi ricorda molto Giorgia Soleri e le sue vacanze ad Ibiza come “atto politico”.

Quando fare il pane diventa una supercazzola politica
8 ore di lavoro, otto di sonno, otto di svago, era la richiesta dei sindacati a fine Ottocento, il personale è politico, dicevano le femministe negli anni Sessanta riconoscendo l’importanza delle scelte e dell’intimità del quotidiano. Mangiare è un atto politico, lo dicevano in tanti da Carlin Petrini a Vandana Shiva. Fare il pane è un atto politico, parafrasano alcuni. Ecco, il pane è sicuramente un alimento simbolico, e quindi tornare a farlo in modo artigianale, con ingredienti di filiera etc etc ha un valore oltre quello gastronomico. Di pane si parla e si scrive molto, anche ultimamente, nuovamente. Ne avevo scritto nel 2018 dopo un viaggio a San Francisco, dove tutto (alias la scena contemporanea del pane) è cominciato. Oggi grazie agli americani mangiamo pane migliore, ad almeno 8€ al chilo, panificare non è più un mestiere usurante ma cool, i panifici si sono trasformati in caffè dove trascorrere il tempo. Di pane ne mangiamo comunque sempre meno ed è diventato un companatico di altro, i formati delle tradizioni locali sono spariti in nome dei “pani di campagna”, ma il pane comunque non ha perso il suo valore, anzi forse ne ha assunti alcuni che non aveva mai avuto, pure una certa dose di supercazzola prematurata con doppio scappellamento a destra. Su questo bell’articolo su Rivista Studio già ampiamente condiviso si parla di grani antichi e di come a volte ci entusiasmiamo così tanto per le belle storie da perdere di vista il senso delle cose. Recentemente Vinicio Capossela sul Gambero Rosso aveva detto cose lucide sul movimento dei vini naturali, che con il pane con lievito madre infatti ci stanno benissimo. «Quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito»: non si parla di grani, non si parla di vini ma di molta cucina, o meglio di come la comunichiamo e di come la pensiamo, di molto giornalismo, insomma di molta gente come noi che si prende troppo sul serio. Io volevo fare la rivoluzione e bevo al Mandarin, touché, ma sono molti di più quelli che hanno fatto la Bocconi e pontificano di grani antichi.
Sui brevetti e il copyright del cibo ci ho scritto un articolo recente. Si parla di cotolette, di CocaCola e molto anche di agricoltura e linka altri due pezzi di cui uno sulle clementine e di come sta evolvendo - e deve evolvere - quello che coltiviamo. Che sia antico o nuovissimo, basta che abbia un reale valore aggiunto, non solo una bella storia, ed effettivamente per quello la Bocconi è utile.
Cucine a vista e Spagoization
Recentemente sono stata ospite de Il Pagliaccio a Roma per fare la Parallels Experience, ossia il menù con servizio dedicato nella saletta del ristorante di Anthony Genovese. L’idea è coinvolgerti in tutto e fare quei piatti ce sarebbe impossibile replicare per un ristorante intero (sul senso della cosa, ne ho scritto qui su La Cucina Italiana). Su Eater ho trovato poco dopo questo articolo che racconta di come le cucine a vista hanno cambiato la ristorazione. Correva l’anno 1982 e a New York apriva Spago con la sua cucina a vista, e innescava quella che (la mitica) Ruth Reichl rinominò la Spagoization delle cucine di Manhattan, ossia l’arrivo in città della cucina della West Coast, più casual, con pasta, pizza, verdure alla brace… Praticamente quello che mangiamo ancora oggi, perché alla California dobbiamo molto e non solo il pane. (Ma quanto è bello che il LA Times abbia un archivo di pezzi così vecchi free?)
La superiorità culturale di ieri
La FOMO (fear of missing out, la paura di restarne fuori) è uno dei drammi contemporanei. Ruga a tutti non essere nel posto giusto al momento giusto, di non aver ricevuto l’invito più esclusivo, ma ora arriva anche la FOMO del FOODMO, la paura di non averlo ancora mangiato. O meglio, postato. Cito “2,000 social media users and found that three in four Americans experience food-related FOMO” e ok, se lo chiedi ad un campione di influencer probabilmente la stima sale a 4 su 4, e si prosegue dicendo che “they spend at least four hours a day on social media”. Qui potrei sbottare dicendo “ai miei tempi si andava in biblioteca”, come se negli anni Novanta fossimo tutti Leopardi gobbi sui libri, e non bambini parcheggiati davanti a Junior TV per ore a guardare Ken il Guerriero e robe che oggi il MOIGE apriti cielo. Dipende che ci fai sui social, cosa cerchi, che ti guardi, se coltivi un interesse e usi le fonti che oggi ti sono disponibili: leggere una newsletter come questa è una perdita di tempo o aggiornamento professionale? Prima della tv commerciale c’erano i caroselli, si leggevano i fumetti e non vorrei intavolare un dibattito sulla superiorità culturale di Topolino rispetto alla Ferragni. A volte nelle conversazioni qualcuno tenta di fare un ranking dei mezzi di comunicazione in cui la carta “è meglio” di Internet che è comunque meglio dei social network. Vorrei rispondere inneggiando alla superiorità delle tavolette di argilla e della pergamena, e poi tirare una bella frecciatina a Gutenberg che con sta cosa della stampa a caratteri mobili ha rovinato per sempre i libri. Quando i monaci amanuensi li copiavano a mano, ecco, quella sì che era Cultura.
Cucina inclusiva
Ci ho scritto un long form molto long per La Cucina Italiana e non lo riassumo ma potete leggerlo dove è linkato. Non esisteva molta letteratura sul tema se non legata ad un concetto di solidarietà sociale o di categorie in qualche modo svantaggiate - concetto oggi diametralmente opposto al significato stesso di inclusività. Mi ci ricollego per consigliare un podcast, Amare Parole (prodotto pure lui come molte cose belle da Il Post) che parla proprio di lingua italiana, e ad un articolo relativo alla recente apertura del Bulgari a Roma, intitolato "Il lusso non può essere inclusivo”, virgoletto di Niko Romito che però spiega anche come indignarsi per una cotoletta venduta a 80€ in un hotel a cinque stelle lusso non sia il punto. “Queste polemiche nascono da chi lì non andrà mai, perché nell'hotel Bulgari il prezzo della cotoletta è l'ultimo dei problemi, parliamo di un albergo dove le stanze costano più di 1800 a notte”. La stessa gente che si era indignata per il 26€ di una pasta in bianco al Portrait, e che se sapesse degli 8€ al kg per il pane…
Mangio le arance con la buccia.
E non sono pazza, lo dicono qui. Però consigliano anche di mangiare quella del kiwi ed ecco, direi che mi sembra davvero un po’ troppo. Manco in un ristorante a km-zero-sostenibile-no-waste-con-orto e tutto il corollario credo oserebbero tanto. Minimo la essiccherebbero per novanta ore in forno prima di servirtela.
Ma che crisi? I ristoranti sono pieni
Non l’ha detto Berlusconi questa volta, ma l’ho ascoltato in un altro podcast che racconta come grazie alla svalutazione del Pesos la classe media argentina si stia letteralmente “mangiando” i propri soldi prima che sia troppo tardi, e come questo stia significando un colpo di coda nella ristorazione. “Martha sta lucidando le maniglie sul Titanic”, per citare Fight Club. .
Come ci vedono gli altri: pranzi dei bianchi
Qualcuno avrà seguito la questione del “Lunch of suffering”, ossia di come in Cina percepiscono il nostro cibo, specialmente quello della pausa pranzo. Pranzi leggeri, dietetici, per qualche teoria sani, che in realtà e questo è il punto, non sanno di niente. Niente spezie, niente condimenti, niente sapore, cibo da “White people”, condito solo con un filo d’olio…. Come non dargli torno, penso io che spargo piccante e pepe su ogni roba. Ho appreso quindi con molta soddisfazione la news per cui la personalizzazione del cibo (non del packaging) è l’ultima frontiera dell’industria e quindi potrei farmi una BBQ smokey chipotle, spicy, garlic.
Episodio 14 | Di rivoluzioni senza vittime, grani antichi e Cultura con la C maiuscola
ChatGBT risponde così
La vera disobbedienza può assumere diverse forme a seconda del contesto e dell'intento di chi la pratica. In generale, si può dire che la vera disobbedienza è un atto di resistenza consapevole e deliberato verso un'autorità o una regola considerata ingiusta o moralmente inaccettabile.
La vera disobbedienza richiede un'analisi critica delle norme esistenti e un forte senso di giustizia. Spesso è associata a movimenti sociali o politici che cercano di portare cambiamenti significativi nella società. Un esempio storico di vera disobbedienza è stato il movimento per i diritti civili negli Stati Uniti, guidato da Martin Luther King Jr., che ha sfidato le leggi segregazioniste per lottare per l'uguaglianza razziale.
La vera disobbedienza può essere un mezzo per mettere in discussione l'autorità e promuovere il cambiamento sociale. Tuttavia, è importante sottolineare che la disobbedienza civile deve essere guidata da principi morali e non dovrebbe incoraggiare la violenza o il caos.
In definitiva, la vera disobbedienza è un atto di sfida intenzionale alle norme o alle leggi ingiuste, spinto da un desiderio di giustizia e di cambiamento positivo.
Scrivi “la vera disubbidienza è” e lascia completare la frase ai suggerimenti del telefono