Capitolo 1? Aringhe e cipolle a colazione.
Del perché non potevo fare la scrittrice, ma sento che è venuta l’ora di scrivere un saggio sulla comunicazione gastronomica, un manuale pratico. Comincio dall'introduzione, e facendo una domanda
Vorrei titolare l’introduzione: Aringhe e cipolle, a colazione.
Svolgimento: Quando la tua madeleine ha il sapore (e l’odore penetrante) di un imprinting genetico polacco, non hai futuro come scrittrice di libri di cucina. Ho sempre saputo che le mie memorie culinarie non erano sufficientemente romantiche, ma neppure così traumatiche da poter scrivere un libro come La parte più tenera, di Ruth Reichl. Mia madre fortunatamente non è “la regina della muffa” come quella della celebre critica gastronomica del New York Times, ma una donna di scienza, chimica, veterinaria, professoressa di Ispezione degli Alimenti all’Università di Milano. Sono figlia di ben due veterinari, mio padre però si è sempre occupato di farmaceutica, allevamenti, di vendite e poi di ricerca e sviluppo. Non di cagnolini e gattini, ma di bovini, suini, ovini. Da milanese figlia di milanesi, ho anche avuto la fortuna di passare ogni estate e ogni week-end in campagna. Di aver fatto l’orto, dato da mangiare alle galline, visto la vita agricola di chi da generazioni si alzava alle 5.
Ho sempre saputo che il cibo è molto di più del suo sapore, di una ricetta della nonna, di una presunta tradizione, ma è prima di tutto storia, nutrizione, sicurezza alimentare, produzione, economia, marketing e tanta comunicazione. Ho mangiato la panna del latte appena munto e alle tavolate delle trebbie estive, pite con falafel e tahina nel deserto, Ciocorì e purè Pfanni, quello della busta. Ho sempre saputo che la cucina ci unisce e ci differenzia perché è un’espressione culturale con infiniti livelli di lettura. Quello che chiamiamo food è un’espressione del mondo che ci circonda, una chiave per raccontarlo, e, volendo, per cambiarlo. Nel bene o nel male.
Quando nel 2007 ho risposto ad un’inserzione per una sostituzione maternità in una casa editrice di libri di cucina, non pensavo che avrebbe significato tanto. Avevo in tasca una laurea in Scienze dei beni culturali e un posto fisso in una prestigiosa catena di gioielli e orologi ma del mondo del lusso ne avevo abbastanza: volevo lavorare in un’industria culturale. “L’editoria è un’industria, la cucina è cultura, e da qualche parte bisogna pure cominciare” ho ripetuto per mesi a chiunque mi dava della pazza. Nel 2007 i libri di cucina stavano a fianco dei manuali di ricamo e di giardinaggio, nell’ultimo scaffale in fondo alle librerie, in mezzo a quella che veniva chiamata “la varia”. Non aveva manco un nome, perché c’era così poco mercato che non serviva. Da lì a poco mi resi conto che ero finita al posto giusto nel momento giusto. Io c’ero. Ero lì, quando Benedetta Parodi è andata in onda con Cotto e Mangiato e quando Masterchef ha reso gli chef le nuove rock star. C’ero quando sono arrivate le food blogger, il cake design, Instagram e ora TikTok, che scrollo alla ricerca di fugaci food trend.
Mi sono occupata di marketing, di distribuzione, di produzione editoriale, di progetti per altri editori. Ho editato traduzioni, nuovi autori e ad un certo punto ho iniziato a scrivere solo perché quello che leggevo non era all’altezza delle aspettative (se lo racconto a voce, sono meno diplomatica). Con una formazione in Lettere e due tesi in economia della cultura, ho iniziato a scrivere per necessità. Comunicati, schede, frontespizi, procedure, e poi anche articoli. Sono diventata giornalista “per caso” con un approccio, diciamo, marketing oriented: chi è il mio target, quale il mio messaggio, perché lo dovrebbe leggere, che valore ha, su che canali distribuisco, che effetto voglio generare. Sono pubblicista, di lavoro progetto e gestisco progetti editoriali, faccio la consulente, lavoro per case editrici, agenzie e aziende, insegno comunicazione e project design. Scrivo tanto, anche articoli.
Call to action.
Non ho mai imparato a cucinare, ma dopo anni in questo settore mi sono resa conto che i dubbi, le domande, le confusioni, gli errori, sono sempre gli stessi. Che generiamo tonnellate di parole inutili in un ecosistema sempre più fragile che si contende lettori sempre più delusi, sulla carta, sul web e ora sui social. Sono convinta che siamo arrivati ad un punto in cui, se si sanno leggere i segnali deboli, serva una svolta necessaria per continuare ad essere autorevoli, rilevanti, efficaci – e per far quadrare i conti. Ecco perché voglio mettere nero su bianco un saggio che fotografi l’esistente, per capirlo, ma che sia anche un manuale pratico per professionisti pr, agenzie, giornalisti, ristoratori, produttori per lavorare meglio. In modo che le parole non restino lamentazioni ma siano una ispirazione concreta per chi fa parte di questa industria, o vorrebbe entrarci.
Questa potrebbe essere l’introduzione, per presentarmi. E poi, che cosa ci vorreste trovare dentro? Cosa trovereste utile o interessante? Scrivetemi.
Grazie.
La parte più tenera Confortatemi con le mele Aglio e zaffiri...che ricordi piacevoli ho nel ricordare i libri di Ruth. Sono sicura che trattare con competenza, ironia e un pochino di "sana sfaccitaggine" il grande tema Food e tutto ciò che ci sta intorno sia "un abito che ti calza a pennello". Brava Margo
La parte più tenera, uno dei miei libri preferiti! Sarò curiosa di leggere anche il tuo, anche se sarà tutt’altro